Apocalisse. Parte terza

Con il Reverendo don Curzio Nitoglia


Riflessione dal mondo di Eumeswil

“L’agricoltore si sentiva rispettato, e la fortuna gli arrideva. Il lavoro durante l’autunno e il primo inverno procedette bene. Tutto sembrava volgere al meglio – finché giunse il drago”.

“Aegidus de Hammo era un uomo che viveva nel bel mezzo dell’isola della Britannia. Il suo nome completo era Aegidus Ahenobarbus Julius Agricola de Hammo, perché in quell’epoca, molto tempo fa, quando quest’isola era ancora felicemente divisa in molti regni, le persone erano dotate di nomi altisonanti. Allora c’era più tempo, e c’era meno gente…”. Inizia così la storia ironica e divertita che narra la vicenda d’un contadino abitudinario e un po’ fanfarone, costretto dalle circostanze a dar la caccia a un drago, di cui riesce ad avere la meglio, diventando ricco e rispettato tanto da essere eletto re. La fonte sarebbe un’antica cronaca in Latino contenente il resoconto delle origini del Piccolo Regno, dove il racconto è ambientato. Ma si tratta soltanto di un espediente. Tolkien vi ricorre non già per dare credibilità al suo narrare, ma per creare un mondo metastorico, senza precise coordinate spazio-temporali, un’atmosfera da fiaba, un universo immaginario popolato di draghi e di giganti in cui però possiamo ritrovare qualcosa che incontriamo nella realtà di tutti i giorni. Fiabesco e concretezza di particolari si mescolano dunque con somma maestria nelle mani dell’autore per conquistare i lettori, grandi e piccoli.

Il cacciatore di draghi, scritto e pubblicato in inglese nel 1949 e uscito in italiano nel 1975, è un racconto fantasy e d’avventura scritto da John Ronald Reuel Tolkien. Così ci scrivono gli aderenti alla società Tolkieniana….

Il drago rosso invece nell‘Apocalisse è immagine del male ed è assai diverso dal significato e dal simbolismo del drago nella cultura cinese…

Pensare al drago e pensare alla “bestia” ci riporta al tema trattato, nel video che vi presentiamo, dal Rev. don Curzio Nitoglia quest’oggi. Proseguono infatti le Sue spiegazioni ed il commento al libro dell‘Apocalisse. Oggi è la terza puntata, la terza lezione… Si faranno riferimenti alla Madre Celeste. Vi invitiamo nel frattempo a leggere: “TI SUPPLICO VERGINE MARIA”. GRANDE & PICCOLO CANONE di supplica alla Vergine. Alla Madre di Dio ( Theotòkos), nel corso dei secoli Le sono state dedicate numerose composizioni, ma quella che emerge in modo particolare sia per forma sia per contenuto, nel mondo ortodosso, destando il sincero entusiasmo nel cuore dei fedeli è l’Inno Akathistos, universalmente considerato una perla della letteratura bizantina. Si tratta di un testo di ringraziamento alla Santissima Madre di Dio, per la sua intercessione al suo figlio Gesù Cristo, nostro Salvatore, Signore e Dio.

“Salve, fiore dell’ incorruttibilità! Salve, amore che vince ogni desiderio! Salve, guarigione del mio corpo! Salve, salvezza della mia anima!(Stanza XXIII).

Akatistos significa “non seduto”, vale a dire “da recitarsi in piedi” per rispetto, venerazione e gratitudine nei confronti della nostra Madre. Si tratta di un testo poetico in cui si rincorrono liberamente acclamazioni, riflessioni, immagini, stanze a contenuto teologico e pastorale, sociale ed umano di rara bellezza, appartenenti all’innologia orientale ortodossa.

Esso ricorda la liberazione della capitale imperiale (Costantinopoli) da un’imminente sciagura grazie all’intercessione della Santissima Madre di Dio (Theotòkos), che l’allora Patriarca Sergio volle ringraziare con quest’inno dedicato all’incarnazione del Verbo (Logos) divino nel seno della Beata Semprevergine Madre di Dio. L’inno, infatti, si presenta come una corona che raccoglie i fiori più belli del creato, della terra e del cielo, per offrirli alla Nostra Madre comune “più eccelsa dei cieli e più pura dei raggi del sole“.

Nell’ antichissimo Inno Akathistos, la lode indirizzata alla Santissima Madre di Dio è inseparabile dalla glorificazione del Signore, che salva l’uomo e lo introduce nel Suo Regno Eterno. Esso costituisce una preziosa eredità divina indispensabile per la nostra spiritualità liturgica e spirituale, un saldo riferimento per la nostra fede, per ritrovare la nostra pace e serenità spirituale, la nostra unione con Dio e col nostro prossimo.
O madre da tutti esaltata, tu che hai generato il Verbo, il più santo di tutti i santi, accogli ora questa nostra offerta. Liberaci da ogni sventura e preserva dalla futura condanna quelli che a Te esclamano: Alleluia“.

A scrivere questa presentazione all’inno è il
+ Metropolita Gennadios
Arcivescovo Ortodosso d’Italia e Malta
Ed Esarca per l’Europa Meridionale.

È interessante studiare l’importanza della figura della Madre Celeste anche nel Cristianesimo orientale e ripensare poi alle nostre città medievali. Le architetture di una città medievale costituivano un palcoscenico dei rituali urbani e ne diventavano parte integrante. Vien da chiedersi ad esempio se una immagine della Madonna col Bambino portata in processione lungo le vie e le piazze di una città era intercambiabile con un’altra dello stesso soggetto, o il rituale sia sostanziale proprio della sua unicità iconografica e materica? Fatto sta che la processione avviava la città alla festa dell’anima e alla sua guarigione…. e purificazione…

Una città come Siena già dal dodicesimo secolo aveva confermato l’importanza del culto Mariano. Ricordiamo poi le Maestà e gli artisti che contribuirono a rappresentarle e del passaggio dalle Maiestas Virginis come Ecclesia alla Maestà come Civitas…

Una studiosa, Rosa Maria Dessi ha riflettuto, in alcuni suoi scritti, sul senso delle Maestà toscane, specialmente senesi, eseguite tra la seconda metà del Duecento e la prima del Trecento. Nel ricostruire l’uso del termine “Maiestas/Maestà “, e nel sottoporre le fonti contemporanee e posteriori alla critica del testo, Dessi ha attirato l’attenzione sulle processioni in cui queste Madonne su tavola venivano condotte al di sotto di uno speciale baldacchino. Una di queste vide protagonista la grande Maestà di Duccio di Boninsegna, che accompagnata dalle autorità laiche ed ecclesiastiche di Siena il 9 giugno 1311, raggiunse la Cattedrale tra il suono delle campane e le trombe, per essere posta sull’altare maggiore, come in una sorta di calco degli “accessus” dei sovrani:” non è stato sufficientemente sottolineato quanti tali rituali devozionali, condivisi dagli abitanti della città e del contado, entrassero in competizione con le cerimonie organizzate in onore di alcuni domini che soggiornavano nella città, insieme alle loro corti, per un periodo più o meno lungo”. Già questo ci fa pensare al vuoto di spazio devozione e rituale di cui soffre al momento la città e la cittadinanza…

Il Rev. don Curzio Nitoglia, in modo limpido, agevole che gli è proprio analizzerà nel video il ruolo della bestia, della Madre Celeste e si soffermerà a parlare del “deep state“.

Come soluzione alternativa al “deep state” il nostro autore, Ernst Jünger, chiosa nel 1960 l’opera “LO STATO MONDIALE. Organismo ed organizzazione“. È un saggio in cui vediamo mobilitate le molteplici conoscenze di Jünger nel campo della storia, filosofia, biologia e non solo. È uno studio di estrema attualità da leggersi e vagliarsi con estrema attenzione. Per Ernst Jünger lo Stato mondiale è da compiersi. È un volere non dell’uomo, ma al di fuori della volontà umana. La terra necessità di spiritualizzarsi e già sono stati tanti i sacrificati per la terra nelle varie guerre. Il Padre Celeste sta cambiando la sua casa astrologica…

La meditazione di Ernst Jünger si compie su due termini: Organismo ed organizzazione. Vi invitiamo a fare altrettanto. Organismo come vita primordiale,individuata del singolo e si compie per cerchi e spirali mentre l’organizzazione prevede un’istituzione e si compie livellando e attraverso rettangoli sopprimendo al singolo la possibilità di individuarsi. In che modo lo  Stato mondiale può non essere nocivo? Quello in cui l’organismo rinuncia alla sicurezza emanata dall’organizzazione in nome di una libertà Alta, Altra…È un saggio di un visionario… Da leggersi con calma. La terra necessità di un momento di equilibrio perchè da prendersi vi sono decisioni assai cruciali e poi nel giro di breve tempo lo Stato crollerà. La perfezione non è dell’uomo, ma nell’imperfezione l’essere umano coglie l’opportunità per crescere. Naturalmente questo non è il linguaggio di Ernst Jünger ed il pensiero è espresso in modo assai grossolano ed elementare. Comunque il desiderio del Cielo e della Terra deve essere assecondato da esseri spirituali ed artisti che irradiano i raggi del sole interiore che riescono ad intercettare durante le loro pratiche e contemplazioni così come il sole irradia calore e luce nonostante il cielo sia nuvoloso…

Riprendiamo alcuni passaggi del testo in questione di Ernst Jünger:

“L’intelletto umano è affidato all’esperienza: dove questa lo abbandona comincia l’esperimento. Ciò può produrre disorientamento, soprattutto nel tempo in cui domina l’intelletto che ha liberato tanto lo Stato quanto la società dai riti ricevuti in eredità e ne ha determinato la forma attraverso la conoscenza. Si crea così un beffardo doppio gioco tra una libertà dello spirito divenuta quasi assoluta e la sua impotenza di fronte alla forza cogente del nuovo mondo che si impone.
Proprio l’estrema evoluzione dello spirito umano lascia sperare che l’uomo sia in grado di spingere la propria capacità di comprendere al di là di se stesso, per cogliere gli eventi con uno sguardo che unisca l’acutezza della conoscenza critica con la divinazione. Solo in questo modo sarebbe possibile comprendere quella componente del grande movimento della terra che si sottrae al libero volere; ed è appunto solo in questo modo che si può determinare che cosa la libertà del volere, interna a questo movimento e da questo stesso promossa, sia in grado di compiere e quali difficoltà debba aspettarsi di incontrare. Diverrebbe soprattutto possibile tracciare un confine tra ciò che, nell’ insieme degli eventi che si propongono prepotentemente sulla scena, si può caratterizzare come un’opera dell’uomo e ciò che invece sfugge al suo controllo: sia che si consideri l’opera dell’uomo come un momento della sua emancipazione, sia che, al contrario, si guardi alla crescita colossale dell’intelligenza umana e dei suoi progetti come un fenomeno provocato da impulsi di altro tipo, che si suppone trovino il loro spazio al di sotto della politica, della storia e degli ordinamenti tout court.

Quando si parla di un pericolo per il genere umano in quanto tale, non si intende tanto una minaccia di tipo fisico, quanto piuttosto di tipo metafisico. Da un punto di vista storico, questo potrebbe significare un esaurirsi della produzione intesa nel senso più profondo: la creazione nel campo dell’arte, della poesia, della filosofia e anche della storiografia. In teologia scompare la domanda sulla salvezza, in biologia si estingue il ramo di una grande discendenza, in una direzione dello sviluppo che non va valutata da un punto di vista umano.

Lo specifico dell’uomo sta nella libertà del volere, il che vuol dire: nell’imperfezione. Sta nella possibilità di rendersi colpevole, di commettere un errore. La perfezione, al contrario, rende superflua la libertà; l’ordine razionale acquista la nettezza dell’istinto. Una delle grandi tendenze della pianificazione del mondo mira evidentemente a una tale semplificazione. Possiamo leggerlo nella natura come in un libro illustrato.

A un punto di svolta del destino nel quale va formandosi un nuovo ramo della discendenza, ci si chiede quale potere abbia l’umana volontà sull’inevitabile. Se voglia o meno entrare nella nuova dimora non è cosa che si possa decidere, perché non si tratta tanto dell’entrata di un uomo, ma di quella di un eone; la casa si volge e si allontana come un campo oroscopico al di sopra di uomini e popoli, e cioè in forma invisibile, ma appunto per questo con irresistibile cogenza.

Un’altra questione riguarda ciò che possiamo portare con noi. Esiste certamente anche un’eredità, e non solo una trasformazione. Se le caratteristiche fondamentali del genere umano, soprattutto la libera volontà, possono essere portare nella nuova dimora, se possono esservi introdotte come un’eredità o se diventino un elemento rudimentale: ciò varia a seconda di come si giudica.
Tale parte assegnata al giudizio porta un elemento nuovo nell’ evoluzione. Si sono spesso verificate trasformazioni geologiche come la nostra, rivoluzioni che hanno prodotto mutamenti nelle stratificazioni, e i mondi incantati che ne furono originati tradiscono il gioco di una forza potente dello spirito della terra.

Tale forza conferisce alle creature un modello e un’impronta attraverso le grandi spinte in cui la creazione si ripete, così come l’antico fuoco della terra si ripete nell’ evoluzione dei vulcani. Per la prima volta ora una creatura, vale a dire l’uomo in quanto figlio della terra, è dotato di una parte di questa forza. Egli partecipa a un processo geologico, non semplicemente nel senso che lo registra e lo osserva, ma nel senso che contribuisce a determinarne la formazione. La sua parte è modesta se confrontata con le trasformazioni di natura geologica cui contribuisce, e tuttavia è di qui che scaturisce la sorgente della sua nuova, inaudita potenza, ma, insieme, anche del suo pericolo e responsabilità.

 … L’ordine planetario è già compiuto, tanto nel modello quanto nella realizzazione. Manca solo il suo riconoscimento, la sua dichiarazione. Si potrebbe immaginare che abbia luogo come un atto spontaneo, di cui non mancano esempi nella storia, oppure vi si può pervenire spinti dalla forza di una serie di eventi. Prima però vengono sempre la poesia e i poeti.
L’ulteriore estensione dei grandi spazi nell’ordine globale, l’estendersi delle potenze mondiali in direzione dello Stato mondiale, o meglio, dell’impero mondiale, si connette al timore che la perfezione conquisti una forma definitiva al prezzo della libertà del volere. È soprattutto per questo che mancano i sostenitori di un mondo tripartito o pluripartito. Ma non ci sono segni che lo annuncino. È invece evidente che la figura del lavoratore è più forte della più antica opposizione, che è anche l’ultima: quella tra Oriente e Occidente.

Con il raggiungimento della sua grandezza finale, lo Stato non conquista soltanto la sua massima estensione spaziale, ma anche una nuova qualità. Lo Stato in senso storico cessa di esistere. Esso si avvicina perciò alle utopie anarchiche o, almeno, la loro possibilità non contraddice più la logica dei fatti. Le questioni di potere sono risolte.

Non è casuale che, nel corso delle rivoluzioni, dopo un interregno in cui tutto sembra possibile, l’uomo politico torni immediatamente ad avere il sopravvento. Egli non subordina a se’ soltanto le utopie di tutti gli orientamenti, ma anche la pianificazione dell’economia.
La ragione fondamentale di ciò va ricercata nel fatto che gli Stati umani si sono sviluppati in maniera tale da mettere la sicurezza in primo piano. Quando, da un popolo, o da un gruppo di popolo, si costituisce uno Stato, crescono gli investimenti finalizzati alla sicurezza. Lo rivelano i bilanci. Anche e soprattutto a questo scopo le potenze mondiali fanno i massimi sforzi.

L’uomo ha portato armi da sempre, e tuttavia abbiamo ragione di pensare che, agli inizi della formazione degli Stati, ciò che chiamiamo sicurezza militare avesse un’importanza molto modesta, forse addirittura nessuna. La divisione del lavoro veniva fatta secondo altre ragioni e con altre intenzioni.

Possiamo rappresentarci l’origine degli Stati come una sorta di cristallizzazione, per dar luogo alla quale si unirono le forze di radici e terreni intatti. Lo Stato, così come si formò nelle fertili valli dei grandi fiumi non conobbe uguali. Esso era, se non unico, certamente insulare.

Il tipo di sicurezza garantito dall’esercito deve essersi reso necessario solo più tardi. Il mediterraneo orientale, con i suoi paesi costieri e di confine è una madre che ha dato origine a molti fenomeni, tra cui anche la guerra. Prima di allora però, molto prima che Abramo uscisse dalla sua terra, quella zona deve aver conosciuto culture prive di eserciti guerrieri.

La grande importanza che gli Stati attribuiscono alla sicurezza e che determina la loro forma e il loro destino è, se non proprio una caratteristica specifica del genere umano, certamente un tratto della sua sottospecie, lo zōónpolitikón. Tale caratteristica non si può rinvenire in altre prescrizioni naturali; nello Stato delle api prevale senza dubbio il momento economico. Nelle specie inferiori, la sicurezza è garantita semplicemente dalla vita sociale, dalla formazione di colonie.

La forma dello Stato umano è determinata dal fatto che accanto ad esso vi sono altri Stati. Non è da sempre così, ne’, si spera, lo sarà sempre in futuro. Quando lo Stato sulla terra era un’eccezione, quando era insulare, o unico nel senso dell’origine, gli eserciti combattenti erano superflui, stavano al di fuori dell’immaginazione. La stessa situazione deve presentarsi dove lo Stato diventa unico in senso finale. Allora l’organismo dell’uomo, nel senso che è autenticamente umano, potrà manifestarsi nella sua purezza, libero dalla costrizione dell’organizzazione”.

A.T. del mondo di Eumeswil