2025 - Visioni di Apocalisse, Immagini di ParadisoLa felicità nel dolore. Dagli Indemoniati all’Anticristo. Visioni escatologiche in Dostoevsky e Solov’ev

La felicità nel dolore. Dagli Indemoniati all’Anticristo. Visioni escatologiche in Dostoevsky e Solov’ev

Con Elena Bianchini Braglia


Riflessione di Eumeswil

C’era una volta in un paese lontano, lontano … e vissero felici e contenti… Fin da bambini, fin dall’infanzia del mondo le fiabe hanno aiutato l’umanità a crescere insieme al racconto del mito e dei miti. Non vi è fiaba o quasi dove l’uomo non sia stato messo alla prova, abbia attraversato il dolore, una perdita e sia stato sfidato a sacrificarsi per conquistare un bene che rappresentasse la felicità desiderata. Già durante la prova ci si poteva sentire reconditamente felici, già si assaporava il frutto agognato. La nostra epoca tenta di rimuovere ostacoli, dolori e felicità. Dimentica dei miti e delle fiabe eppure rappresenta l’età adulta del mondo se non già la sua canizie…

In apparenza viviamo vite agiate, ricolme di comfort, ma spesso ci ritroviamo vuoti di contenuti esistenziali, privi di radici. Ricordiamo sempre più gli alberi che crollano, si stradicano alle piogge torrenziali, al vento che soffia inclemente. Ogni dolore è rimosso, riposto e schiacciato in basso, l’uomo non vi pone lo sguardo.Il malessere compare alla notte, nel silenzio profondo. Il buio rende inquieto il dormire e trasforma i sogni in incubi… Solo lo “spirituale” trova grande conforto quando tutto tace ed arde la luce della candela ed il suo cuore innamorato.

Lo stesso artista sin dal 900 ci regala, a ben guardare, soprattutto immagini e suoni apocalittici. Sono rari i quadri e le opere che sanno curare l’anima, che nel suo abisso si abbeverano e ci portano ad un sereno stato di quiete. Sono rare, per chi non è avvezzo alla contemplazione, le visioni improvvise in cui vorremmo fermare il corso del tempo e di fronte alle quali la nostra mente risuona come la corda di uno strumento musicale in piena armonia ed unità con il Creatore ed il creato. Ci ricorda Ernst Jünger :

“Le arti figurative, e in particolare la pittura, presentano nei primi tre decenni del XX secolo una sconcertante varietà di stili. È tuttavia probabile che per l’osservatore futuro questi diversi stili, fondendosi, finiranno per acquistare un carattere decisamente unitario, come documento dell’umano espressione. Il tema comune che si ripete qui negli stili più diversi è la catastrofe, la fine del mondo che l’uomo cerca di testimoniare mediante i colori e le linee di contorno. Che il colore assume le sfumature del fogliame autunnale o i riflessi luminosi dei metalli surriscaldati , che la struttura vada in pezzi per effetto di eventi esplosivi o che la linea si irrigidisca in una gelida freddezza geometrica: ciò che differisce è solo il taglio delle domande, non certo il contenuto “.

Ed anche noi alle soglie del XXI secolo abbiamo questo terrore apocalittico e l’arte continua a produrre immagini di catastrofi… Il terrore scorre nelle vene dei più seppur, alla luce del sole, non viene dibattuto. La paura è dimostrata dal rapido mutamento del modo di porsi davanti alle nuove ed avanzate tecnologie, alla natura… Vi è la sensazione di aver poco tempo per salvarsi e salvare il pianeta terra. Tutto questa ansia cela l’incompresione da parte del contemporaneo di ciò che sta vivendo…

Chi è radicato alla tradizione ed è avvezzo alla presenza del dolore e del male nel mondo e nel cosmo, si chiede se, il mondo brancoli nel buio, dell’assenza di fede.Si chiede cosa sia giusto tramandare e se si è ancor in grado di saperlo fare, In quale misura, con quale linguaggio ed in che modo procedere…

Seppur si cancella il dolore, il terrore, questo stato dell’essere, aumenta a macchia d’olio basta avere il coraggio di guardare i volti delle persone, di osservarli nella loro profondità. Guardare l’atteggiamento della mascella spesso indurito, le unghie, quando non rifatte, logore, l’occhio, le labbra prive di luce, raggrinzire Pure lo stato del cappello e il tipo di pelle, la porosità del tessuto, parlano… Non importa nemmeno tanto il dialogo. Mostrano già il tipo di attività interiore all’attento osservatore.

Eppure tra queste visioni apocalittiche, non dobbiamo mai dimenticare le immagini di paradiso… Nel video di quest’oggi grazie alla presenza di Elena Bianchini Braglia si parlerà del Suo ultimo libro:”La felicità nel dolore.Dagli Indemoniati all’Anticristo. Prefazioni di padre Serafino Tognetti e Franco Cardini. Ed. Terra e Identità. Modena,2025. Dal retro di copertina:

“In ogni rigo della sua opera, Dostoevsky affronta il problema del male. Senza maschere o illusioni. Perché l’unico modo di sconfiggere il male è riconoscerlo. Che sia il delitto di Raskolnikov, il nichilismo di Ivan Karamazov, o la follia sociale degli Indemoniati, il male s’impone prepotente. Chi per paura di soffrire lo nega ne resta sopraffatto, mentre può vincerlo chi, soffrendo, lo combatte: chi accetta di “cercare la felicità nel dolore”. Il trionfo del bene allora sarà certo. Al punto che Alëŝa nei Fratelli Karamazov potrà rispondere al grande problema della teodicea: se Dio c’è ed è buono, perché esiste il male?

Solov’ev parte da questa idea, poi continua e supera l’opera del suo maestro, giungendo a una visione escatologica che nel Racconto dell’Anticristo è assolutamente profetica, e oggi ci appare straordinariamente reale.

Il testo si apre in questo modo:

Al senso eterno e irrinunciabile della cultura russa

Alla “ Russia eccelsa e popolare, verticale e ascetica
che gravita e si alimenta intorno alle lavre e ai suoi santuari,
agli eremitaggi dei suoi taumaturghe
e alle sue divinassie liturgie:
la Russia che proprio perché è rimasta totalmente russa,
conserva in se’, come un sigillo imperiale,
la forma precisa di Bisanzio”
Cristina Campo.

Nel corso del video abbiamo cercato di approfondire alcuni temi trattati nel saggio: “La felicità nel dolore” Dagli Indemoniati all’Anticristo Visioni escatologiche in Dostoevsky e Solov’ev, ma, naturalmente non è stato possibile, parlare del testo nella sua totalità visto la profondità, l’ampiezza e la vastità degli argomenti trattati dall’autrice del volume e dai due autori a cui si fa riferimento nel testo. Due grandi di tutti i tempi. La loro opera non è solo frutto di studio e teoria, ma proviene dal proprio fecondo e travagliato vissuto interiore. È una visione del mondo che si trasforma e si compie nel corso della vita vissuta appieno nella felicità che sboccia attraverso il tormento interiore ed il dolore. Si vivono altezze, intensità, verticalità assai rare. Si arriva a maturare un pensiero, un vivere religioso espresso attraverso uno stile esistenziale filosofico proprio. Il nostro e’ un invito a leggere l’opera di Elena Bianchini Braglia, di Dostoevsky, Solov’ev per vivere meglio e per comprendere meglio la nostra epoca.

Lo stesso nostro autore di riferimento riporta e matura riflessioni a partire dai temi proposti da Dostoevsky e mai dimentica la Russia. Per chi conoscere l’opera di Ernst Jünger saprà benissimo che il loro pensiero viene rielaborato continuamente. Nello stesso saggio Oltre la linea, dove si indica una riflessione sul nichilismo e come poterlo superare già dal secondo capitolo si discute su Dostoevsky così come nel saggio sul dolore. Troviamo pertanto un filo conduttore attraverso le epoche di come trovar riparo a problematiche in cui incorre l’umano. Come tentare di aiutare se stessi e gli altri attraverso un passare attraverso il dolore che ci risvegli al mondo della luce e ci porti verso tale dimensione e realtà. È un attraversamento verticale che ci mobilita dal nulla al tutto. Dove ci ritroviamo a vivere indossando una nuova veste, adottando un nuovo linguaggio in un mondo nuovo perché purificato attraverso il sacrificio doloroso del travaglio spirituale che porta a nascere in una forma nuova.

È interessante notare che il testo Oltre la linea è accompagnato dal saggio di Martin Heidegger. Troviamo pertanto grandi a riflettere su tematiche universali.

Noi desideriamo soltanto proporre pochi passaggi dal saggio sul dolore perché altra riflessione da fare è che il dolore non è scomparso, ma è mutato nel corso del tempo così come l’uomo stesso e’ cambiato rapidissimamente.

Il testo di Jünger riporta due citazioni, due perle:

Fra tutti gli animali di cui l’uomo si ciba, tocca ai
granchi la morte più terribile, poiché vengono
messi in acqua fredda sul fuoco vivo

Ricettario per famiglie d’ogni condizione, Berlino,1848

Se un bambino un po’ maldestro piange ogni volta
che si fa male, la madre lo rimprovera con queste
parole: “ È da vigliacchi piangere per una schiochezza!
Come ti comporterai se ti mozzeranno un
braccio in battaglia? E se dovrai fare harakiri?”

Inazo Notibe’Bushido, Tokio, 2560 [1900]

“Esistono alcuni grandi è immutabili parametri in base ai quali il valore dell’uomo dà la misura di se’. Uno di questi è il dolore, esso è la prova più dura in quella catena di prove che è, come si suol dire, la vita. Una riflessione che voglia occuparsi del dolore sarà perciò probabilmente impopolare; essa però non è solo istruttiva in se stessa, ma getta luce, insieme, su una serie di questioni delle quali ci stiamo occupando in questi tempi. Il dolore è una di quelle chiavi che servono ad aprire non solo i segreti dell’animo del mondo stesso. Quando ci si avvicina a quei punti in cui l’uomo si mostra all’altezza del dolore, o superiore ad esso, si accede alle sorgenti della sua forza e al suo mistero che si nasconde dietro il suo potere. Dimmi il tuo rapporto con il dolore e ti dirò chi sei.

Il dolore come unità di misura è immutabile, ciò che muta, invece, è il modo in cui l’uomo si pone di fronte a tale unità di misura. Con ogni cambiamento di rilievo nel clima generale mura anche il rapporto che l’uomo intrattiene con il dolore. Non è affatto un rapporto fisso; anzi, si sottrae alla coscienza, e tuttavia è la migliore pietra di paragone per identificare una razza. Questo stato di cose può essere osservato facilmente ai nostri giorni, poiché disponiamo già di un nuovo e peculiare rapporto con il dolore, anche in assenza di norme etiche vincolanti. Il nostro intento è di innalzarci con queste osservazioni sul nuovo rapporto con il dolore a un punto di vista e di valutazione più elevato, che ci permetta forse di scorgere cose non ancora visibili giù in pianura. La nostra domanda suona: quale ruolo svolge il dolore nell’ambito di quella nuova razza umana che si sta ora profilando e che abbiamo designato come il Lavoratore? Per quanto concerne la forma interna di questa ricerca , ci proponiamo di sortire l’effetto di un proiettile a scoppio ritardato, e promettiamo al lettore disposto a seguirci attentamente che non verrà risparmiato neanche lui.

[…] Abbiamo raccolto una serie di dati dai quali risulta ampiamente come il nostro rapporto con il dolore sia mutato. Lo spirito che da oltre un secolo plasma il nostro paesaggio è senza dubbio uno spirito crudele. Esso imprime le tracce anche sulle risorse umane: consuma i punti deboli e indurisce le zone di resistenza. Ci troviamo in una condizione nella quale siamo ancora in grado di vedere la perdita; sentiamo ancora l’azzeramento del valore, l’appiattimento e la semplificazione del mondo. Ma stanno già crescendo nuove generazioni del tutto estranee alle tradizioni in cui noi siamo nati, e fa uno strano effetto osservare questi ragazzi, molti dei quali vedranno il Duemila. È probabile che allora gli ultimi residui dell’età moderna, cioè dell’età copernicana, saranno svaniti.

La situazione nel suo insieme si presenta nondimeno già chiara. La riconobbero, a dir il vero, tutti i grandi spiriti del XIX secolo, e ciascuno di essi, a partire da Hölderin è ben oltre i confini europei, ha lasciato una dottrina segreta sul dolore, poiché va cercata qui la vera pietra di paragone della realtà.

Oggi vediamo le valli e pianure piene di campi militari, di parate ed esercitazioni. Vediamo gli Stati più minacciosi ed armati che mai, intenti a dispiegare in ogni molecola la propria potenza e in possesso di truppe e arsenali sulla cui finalità nessun dubbio è possibile. Vediamo anche il singolo avviarsi sempre più chiaramente a una condizione in cui potrà essere sacrificato senza nessuna remora. Di fronte a ciò si pone la domanda: ci troviamo qui alle prime battute di quello spettacolo in cui la vita entra in scena come pura volontà di potenza?

Abbiamo visto come l’uomo può opporsi all’assalto del dolore nella stessa misura in cui sa estraniarsi da se stesso. Questa estraniazione, questa distaccata oggettivazione della vita cresce senza sosta. A un’età di grande sicurezza ne è seguita con sorprendente rapidità un’altra in cui a predominare sono valutazioni di ordine tecnico. La logica e la matematica tengono banco sono straordinarie e degne di ammirazione; si intuisce che il gioco è troppo fine e troppo rigoroso per essere nato da una mente umana.

Ma tutto ciò non esime dalla responsabilità. Se si osserva l’uomo nella sua condizione solitaria, esposto al pericolo e disposto al sacrificio, viene spontaneo domandarsi a che cosa questa disponibilità sia rivolta. Grande deve essere quel potere capace di piegare l’uomo ai compiti di una macchina. E tuttavia sarebbe inutile cercare con lo sguardo un luogo che domini dall’alto, e al riparo da qualsiasi dubbio, il puro progredire della macchina bellica. Quel che è indiscutibile è piuttosto l’azzeramento degli antichi culti, l’impotenza creativa delle culture e la grigia mediocrità che contraddistingue gli attori sulla scena.

Ne possiamo trarre la conclusione che ci troviamo in un‘ ultima, e singolarissima, fase del nichilismo, contraddistinta dal fatto che nuovi ordini si sono già spinti molto avanti, mentre i valori corrispondenti a tali ordini non sono ancora visibili. Se si è colta la peculiarità di questa condizione, allora il ruolo apparentemente contraddittorio che l’uomo svolge si chiarisce. Si comprenderà come un’alta capacità organizzativa possa coesistere con la più totale cecità nei confronti dei valori, si comprenderà la fede senza contenuti, la disciplina senza legittimazione, in breve: il carattere vicario delle idee, delle istituzioni e delle persone in generale. Si comprenderà perché in un’epoca così strumentale non si voglia vedere lo Stato come lo strumento supremo, ma come una grandezza di natura culturale e perchè tecnica ed ethos siano divenuti sorprendentemente sinonimi.

Tutti questi segni indicano come quel lato del processo che si fonda sull’obbedienza, sull’esercizio e la disciplina, in altre parole sulla volontà, sia stato percorso fino in fondo. È mai si diedero condizioni più favorevoli per accogliere la parola magica che comanda la volontà pura, quella che conferisce il suo senso alla virtù delle formiche, e non è una virtù da poco. Che l’uomo stesso nel suo intimo sia consapevole di questo stato di cose, è un segno del suo rapporto con la profezia; in tutti gli Stati l’ordine costituito gli si presenta come la base di un regime futuro o come il passaggio ad esso.

In una situazione del genere, tuttavia il dolore è l’unico criterio che prometta risultati sicuri. Dove nessun valore regge alla prova, il movimento che porta al dolore rimane un segno mirabile: in esso si rivela l’impronta di una struttura metafisica.

Da ciò risulta sul piano pratico la necessità, per l’individuo, di prendere parte malgrado tutto alla macchina bellica: sia che egli veda in essa una preparazione al tramonto, sia che, sulle alture dove le croci marciscono e i palazzi vanno in rovina, egli creda di riconoscere l’inquietudine che suole precedere la nascita di una nuova signoria”.

Non attraversare il dolore e prendervi parte, diciamo noi del mondo di Eumeswil, potrebbe portare, arrecare ad un dolore definitivo… ben più amaro di una felicità nel dolore…

Elena Bianchini Braglia, nata a Modena, laureata in Filosofia e in Scienze dell’educazione, è tra i soci fondatori dell’Associazione culturale Terra e Identità, che da oltre vent’anni pubblica la rivista di storia e tradizioni Il Ducato. Autrice di saggi e biografie, si occupa soprattutto di storia con particolare attenzione all’Ottocento e a i movimenti di pensiero che hanno portato alle grandi trasformazioni della modernità. Ha all’attivo moltissimi saggi.

A.T. del mondo di Eumeswil