La nostra rivoluzione culturale
Con Antonello Cresti e Carola Causarano
Riflessione di Eumeswil
Alcuni pensano che bisogna far cultura, alcuni operare una rivoluzione culturale e una stretta minoranza ritiene che, con il giusto metodo e una giusta attenzione, ogni cosa possa essere motivo di crescita dell’essere perché intento dell’Assoluto è far crescere il singolo e portarlo verso l’alto. In ogni cosa si trova traccia dell’UNO …
Tutto ciò che non cresce decresce, tutto ciò che non vive, muore. Per il piccolo mondo di Eumeswil cultura equivale a coltivazione dell’essere e l’essere può essere inteso come una pianta, la pianta uomo che attraverso le stagioni della vita, i suoi accadimenti, le sue cadute molteplici può far esperienza, può apprendere e migliorare se nutrita di coscienza e consapevolezza esistenziale.
La cultura intesa dal mondo di Eumeswil non è una cultura per far lucro, per apportare benefici sulla vita materiale, ma interiore, spirituale con la speranza ed il credere nell’imperituro. Pertanto nella piccola realtà di Eumeswil esiste l’Eterno ed un tentativo, un cercare, un aspirare a congiungersi a questa dimensione. Il piano verticale agisce sul piano orizzontale arricchendolo ed anzi il piano orizzontale è il banco di prova attraverso il quale si entra in contatto e si sperimenta, nelle varie fasi della vita, del piano verticale mutevole in quanto l’essere cresce, si sviluppa, rettifica la propria composizione interiore… Per far ciò l’associazione Eumeswil, il piccolo mondo di Eumeswil deve fertilizzarsi con la tradizione intesa come l’eredità spirituale dei propri antenati. Non pone cesure, fratture, rivoluzioni e cerca di operare secondo retto agire come modo di essere e non di apparire. Questi sono i suoi pilastri. Naturalmente essendo umani possiamo sbagliare… Talvolta abbiamo l’opportunità e la capacità di renderci conto di averlo fatto… Il tragico è che non sempre siamo in grado… Ed ecco che nasce l’esigenza del confronto… Non sempre, purtroppo, ci è possibile! Non tutti sono aperti… Ci piace rapportarci con culture differenti dalla nostra, così come da coloro che detengono pensieri, opinioni discrepanti perché reputiamo possano aiutarci a mettere a fuoco aspetti e prospettive a noi ignote. Questo non vuol dire assorbire ciecamente o far proprie visioni non consone al proprio essere, vuol dire semplicemente valutare. Cerchiamo quando è possibile di non stare a discutere, argomentare, litigare, ma sottrarci dalle situazioni che non aiutano la crescita… Ci ispiriamo alla figura, coniata da Ernst Jünger nel romanzo Eumeswil, dell’ anarca che si badi bene non è l’anarchico che combatte lo Stato, ma è colui il quale tenta di diventare padrone di se stesso, di entrare in rapporto col piano verticale e la conoscenza della storia per il suo sviluppo interiore e superiore. Non scende a patti con la politica e le istituzioni, ma può scambiare idee, pensieri, filosofie del vivere.
L’anarca cerca i suoi spazi di libertà mentale, interiori facendosi ad una libertà elementare che alberga nell’universo intero. Questo processo assimilato dal piccolo mondo di Eumeswil è avvenuto quasi al termine di un cammino del nostro autore di riferimento: Ernst Jünger. La piccola realtà di Eumeswil adora i micro cristalli di Eternità che riesce a reperire nei grandi esseri spirituali ed artisti delle varie epoche del mondo. Tende a non prendere e far sue le mode disseminate al vento dello spirito del mondo così mutevole, frantumato come ciò che produce. Reputiamo notevoli, valevoli di lode quei ricercatori spirituali che, mimetizzati e passando per competenti delle varie arti e mestieri, hanno saputo creare, donare frammenti di eternità, abbiano cercato il modo di trasmettere questa eternità a chi non abile di farlo solitariamente. Quei scalpellini della pietra che hanno saputo creare grandi imprese ed opere vive ed apprezzabili ancora ai giorni d’oggi. Ci par triste vedere tutta la pietra serena lavorata col sudor della fronte eliminata e sostituita con strade vestite da Arlecchino con toppe perfino tagliuzzate. Eppur le strade personali e le strade che si percorrono di giorno in giorno non ricordano più gli Champs-Élysées. Le strade sono sempre più infernali.La cultura viene vissuta sempre più come un peso morto, ingombrante anziché un valore vivo. Più che ad educare si pensa ad istruire così come si istruisce una intelligenza artificiale inserendo materiale. Raramente si cerca di estrapolare cosa è nascosto in ciascuna persona facendola crescere, evolvere attraverso la conoscenza della propria indole e predisposizioni naturali, entrando in stretto contatto e comunione con la propria essenza da scolpire e maturare. Si indottrina spesso più che educare. Stesso le famiglie oramai hanno poco tempo, mezzi per poter aiutare lo sviluppo del bambino e scuole ed università soffocano per un burocretinismo esasperante. Le associazione culturali, hanno pochi mezzi per vivere e spesso per farlo o forse talune pure per convinzione seguono le linee guida di chi sponsorizza la propria vita. Fatto sta che il mondo culturale brulica di attività, ma spesso e per fortuna non sempre, si mangia la solita minestra rimestata ora a destra ed ora a sinistra e ripassata con salse diverse. È difficile imbattersi in lavori, iniziative autonome e distribuite in maniera continuativa e prive della veste di festival. Per far cultura occorre tempo e perché tale cultura si accresca in noi occorre ancor più tempo e dedizione ed occorre aver elaborato un pensiero analitico, critico, orizzontale e verticale così come una predisposizione del cuore a essere plasmati attraverso il vivere emozioni di gradi e tonalità assai discrepanti tra loro. Occorre far buon uso di maieutica ed ermeneutica…
Come mondo di Eumeswil ci è stato proposto da Antonello Cresti di presentare il Suo recente testo “La nostra rivoluzione culturale”. Manuale di egemonia sovranità-popolare”. 2025 Visione Editore. Prefazione di Aldo Nove ed Enrica Perucchetti.
Fondamentale per poter collaborare e presentare il libro è stato il si da parte dell’autore, che ben sa che Eumeswil non si interessa di politica, di poter noi dire la propria idea, in maniera civile, libera e semmai divergente. Il Cresti si è detto immediatamente favorevole e lo ha approvato istantaneamente ancor prima si leggesse il testo…Pertanto il video di oggi è presentazione del manuale da parte dell’autore insieme alla giornalista Carola Causarano sua accompagnatrice che pone domande incalzanti e qualche nostro sporadico intervento. Eravamo, nel corso della registrazione del video, più presi da quanto intentavano di esprimere.
Dal retro di copertina del testo a cui fa seguito il video così si apprende:
“Quando il pensiero dominante soffoca ogni spazio di libertà e la cultura si riduce a mera propaganda, quando il linguaggio viene svuotato del suo potere trasformativo e la realtà si piega alla narrazione imposta, è il momento di un rovesciamento radicale.
La nostra rivoluzione culturale di Antonello Cresti si propone come un’arma intellettuale di controegemonia, un’opera che scava nelle radici della manipolazione contemporanea e offre strumenti per un risveglio culturale autentico. L’autore propone una rottura netta con le dinamiche imposte dal mainstream, offrendo un’analisi lucida delle strategie di controllo culturale e suggerendo vie concrete per riaffermare il primato della cultura autentica, radicata nelle identità e nelle tradizioni.
Tra riflessioni su linguaggio, propaganda, censura e spettacolarizzazione dell’informazione, La nostra rivoluzione culturale è un manifesto per una nuova egemonia culturale, un breviario di resistenza contro l’omologazione del pensiero dominante e un appello alla costruzione di un nuovo “alfabeto della ribellione”.
Con un’analisi implacabile e senza compromessi, Cresti smaschera i falsi oppositori del sistema, i finti rivoluzionari che perpetuano la stessa logica di dominio che fingono di combattere. Con sfrontatezza, lucidità e un’incrollabile tensione alla verità, La nostra rivoluzione culturale è il “grimaldello culturale” di cui abbiamo bisogno per riaffermare il primato dell’umanità contro ogni tentativo di spersonalizzazione e annichilamento. Sta a noi decidere: rimanere in silenzio o gettare le basi di una nuova egemonia culturale, un sovranismo popolare capace di rovesciare lo stato di cose presenti.
«La cultura è l’habitat in cui viviamo: se lasciamo che venga inquinata, nessun miglioramento politico o sociale sarà possibile».
Antonello Cresti
Antonello Cresti è pronto alla battaglia. Noi del mondo di Eumeswil crediamo sarebbe opportuno accostarsi alla cultura con il piacere, l’entusiasmo. Riaffermare l’importanza del linguaggio, della lingua e della parola che porti verso l’Alto. Non sappiamo più parlare, scrivere, pensare. Per noi, non occorrere combattere, ma apprendere ciò che abbiamo perso e soprattutto l termini del mondo invisibile. Il suo vocabolario. Abbiamo oramai un linguaggio tecnico, meccanico, ma non sappiamo più costruire frasi, pensieri e muoverci tra i tempi ed i suoi modi. Viviamo una parola, un linguaggio, un pensiero piatto, atrofizzato, asfittico, privi di luminosità. Il nostro modo di parlare, la nostra logica, i pensieri ricordano le strade rimpicciolite che troviamo sempre più . Si tolgono incroci, rotatorie. Siamo inscatolati. Aumentano cancellate, telecamere, microfoni per controllare anziché l’educazione spirituale e civica che consente all’uomo di divenire maturo e trasformarsi in umanità. Controllare ha preso il posto dell’educare che rende liberi. Oramai l’uomo ricerca la propria salvezza attraverso l’essere sorvegliato anziché fare lo sforzo di crescere. Il mondo di androidi e altre robotiche invenzioni ricorda il mondo dei giochi dei bambini. Siamo oramai in un mondo di adulti che si divertono con le loro trovate e pupazzi meccanici come quando eravamo piccoli, ma senza la capacità di prevedere, valutare anzi sottovalutando o non occupandosi dei rischi a cui andiamo tutti incontro. Educare vuol dire far crescere, diventare adulti, maturi con la capacità di discriminare il pericolo, ciò che è bene e male e ciò che può arrecare danno permanente. Si accantona l’importanza che ha avuto la Chiesa, come ci ricorda bene Ernst Jünger, sul non averci fatto esser tutti come Caino con Abele… Ha insegnato nelle epoche d’oro il rispetto verso tutti…
Notiamo che il nichilismo è dirompente. Potrebbe essere di rimedio quando il nichilismo si limita ad essere un momento della vita atto a far sbocciare ricerche interiori.
Oggi giorno più che ricercare i colpevoli del nichilismo per metterli alla ghigliottina dovremmo piuttosto chiederci, citando Ernst Jünger:
“Chi non ha sperimentato su di se’ l’enorme potenza del niente e non ne ha subito la tentazione conosce ben poco la nostra epoca. Il proprio petto: qui sta, come un tempo nella Tebaide, il centro di ogni deserto e rovina. Qui sta la caverna cui spingono i demoni. Qui ognuno, di qualunque condizione e rango, conduce da solo e in prima persona la sua lotta, e con la sua vittoria il mondo cambia. Se egli ha la meglio, il niente si ritirerà in se stesso, abbandonando sulla riva i tesori che le sue onde avevano sommerso. Essi compenseranno i sacrifici”.
Anticipa questa asserzione appena espressa di Ernst Jünger con quanto riportiamo fedelmente:
”Si può prevedere che la restrizione della libertà durerà ancora a lungo. Essa è presente anche là dove ci si crede ingenuamente in possesso del potere di decidere. Che differenza fa se gli strumenti di sterminio vengono inventati e accumulati per incarico di oligarchie tiranniche o per deliberazioni parlamentari? Una differenza è certa: nel secondo caso la coercizione universale è ancora più evidente. La paura domina su tutti, non importa che si manifesti qui come tirannide, là come destino; finché regna la paura, tutto viene trascinato in un cerchio cupo, e sulle armi aleggia uno splendore funesto.
Sorge allora il problema se almeno in ambiti limitati sia ancora possibile la libertà. Di certo non la si ottiene con la neutralità – soprattutto non attraverso quella illusione di sicurezza di chi pretende di far prediche a chi sta in mezzo all’arena.
Non si può neppure raccomandare la scepsi, soprattutto quando essa porta ad esporsi. Le menti hanno esercitato il dubbio e ne hanno tratto profitto hanno poi ottenuto il potere, e ora il dubbio nei loro confronti è sacrilegio. Essi esigono per se’, per le loro dottrine e i propri padri della chiesa una venerazione quale ne’ un imperatore ne’ un papà hanno mai preteso. Qui, solo chi non teme la tortura e i lavori forzati può ancora avere il coraggio del dubbio. Ma non saranno molti: esporsi in questo modo significa rendere al Leviatano proprio il servizio che gli sta più a cuore, quello per il quale mantiene armate di poliziotti. Consigliare questi agli oppressi, magari da un tranquillo pulpito radiofonico, è semplicemente criminale. I tiranni odierni non hanno nessuna paura di coloro che parlano. Era possibile parlare perfino ai bei vecchi tempi dello Stato assoluto. È molto più temibile il silenzio – il silenzio di milioni e anche il silenzio dei morti, che diventa giorno dopo giorno più profondo e che il rullo dei tamburi non può coprire fino ad evocare, un giorno, il Giudizio. Nella misura in cui il nichilismo diventa normale, i simboli del vuoto diventano più temibili di quelli del potere.
Ma la libertà non abita nel vuoto, essa dimora piuttosto nel disordinato e nell’indifferenziato, in quei territori che sono, si, organizzabili ma che non appartengono all’organizzazione.
Vogliamo chiamarli “la terra selvaggia”( die Wildnis); la terra selvaggia è lo spazio dal quale l’uomo può sperare non solo di condurre la lotta, ma anche di vincere. Non è più la terra selvaggia di tipo romantico. È il terreno primordiale della sua esistenza, la boscaglia da cui egli un giorno irromperà come un leone.
Anche nei nostri deserti ci sono infatti oasi nelle quali fiorisce la terra selvaggia. Isaia lo capì in analoghi tempi cruciali. Sono i giardini ai quali il Leviatano non ha accesso, intorno ai quali si aggira con rabbia. È innanzitutto la morte. Mai come oggi gli uomini che non temono la morte sono infinitamente superiori anche al più forte potere temporale. Per questo la paura deve essere propagata ininterrottamente. I tiranni vivono costantemente nella tremenda convinzione che a poter uscire dallo stato di paura siano in molti, non solo alcuni individui singoli, il che significherebbe con certezza la loro caduta. Questo è anche il vero motivo del rancore contro ogni dottrina del trascendente. Lì infatti si cela il massimo pericolo: che l’uomo non abbia più paura. Ci sono luoghi sulla terra nei quali già si perseguita la parola “metafisica”come eresia. È chiaro che ogni culto degli eroi e di ogni grande figura umana possa essere, li, trascinato nella polvere.
La seconda potenza fondamentale è l’eros; quando due persone si amano, sottraggono terreno al Leviatano, creano spazi che egli non controlla. L’Eros trionferà sempre, come vero messaggero degli dei, su tutte le creazioni titaniche. È appena il caso di accennare in questo contesto ai romanzi di Henry Miller: in esso il sesso viene contrapposto alla tecnica. Esso riscatta dalle ferree costrizioni dell’epoca; dedicandosi ad esso si annienta il mondo delle macchine. L’equivoco sta nel fatto che questo annientamento è puntuale e deve essere potenziato di continuo. Il sesso non contrasta con i processi tecnici, è anzi il loro corrispettivo nell’ambito organico. A questo livello esso è affine al titanico esattamente allo stesso modo in cui lo è, per esempio, l’insensato spargimento di sangue: le pulsioni infatti non fungono da elemento di contrasto se non quando debordano, vuoi nell’amore vuoi nel sacrificio. Questo ci rende liberi.
L’eros vive anche nell’amicizia, che di fronte alla tirannia affronta le prove estreme. Qui come l’oro nel crogiolo, essa viene purificata e messa alla prova. In tempi in cui il sospetto si insinua perfino nella famiglia, l’uomo si adegua alla forma dello Stato, equipaggiandosi come una fortezza che non lascia trapelare alcun segno di se’ verso l’esterno. Dove un’inezia o la stessa omissione di un gesto potrebbero significare la morte, domina una grande circospezione. Pensieri e sentimenti restano racchiusi nell’intimo; si evita perfino il vino, perché risveglia la verità. In queste situazioni il colloquio con l’amico fidato può non solo portare immensa consolazione, ma anche ricondurre il mondo alle sue libere e giuste dimensioni e qui attestarlo. Un solo uomo basta a testimoniare che la libertà non è ancora scomparsa; ma di lui abbiamo bisogno. È allora che crescono in noi le forze per resistere. I tiranni lo sanno e cercano di dissolvere il senso di umanità nella sfera comune e pubblica – per tener lontano li prevedibile e l’eccezionale.
La libertà è profondamente connessa con la vita dell’arte, che giunge a fioritura là dove la libertà interiore è felicemente associata a quella esteriore. La creazione artistica, cioè l’opera d’arte, incontra ancora un’enorme resistenza, sia interiore che esteriore, ed è questo tanto più ammirevole. Anche all’opera d’arte il niente si attacca con immensa forza, succhiandone la linfa: ciò rende consapevole l’atto della generazione. Si usa definire questo come perdita, mentre si dovrebbe piuttosto vedere lo stile dell’epoca. In ogni creazione artistica, quale che sia il campo in cui si manifesta , si cela oggi un potente supplemento di razionalità e di autocontrollo critico – proprio qui essa testimonia la propria identità, questo è il sigillo temporale da cui si riconosce la sua autenticità. L’ingenuità si manifesta oggi a livelli diversi rispetto a cinquant’anni fa, e proprio ciò che vorrebbero suscitare i sogni cade nell’ambito della ripetizione meccanica. Oggi dobbiamo fare della coscienza spirituale uno strumento che redime. Essa è per noi la materia dell’ineffabile e le sue immagini possono essere assunte, anche coi nostri mezzi, nella sfera di ciò che è eternamente valido. Autenticità è stare nei limiti di ciò che ci è dato.
Il senso dell’arte non può consistere nell’ignorare il mondo in cui viviamo – e questa la rende poco serena. Il superamento e il dominio spirituale non si rispecchieranno nel fatto che macchine perfette coronano il progresso, ma piuttosto nel fatto che l’epoca prende forma dall’arte. Qui essa viene redenta . È vero che la macchina non potrà mai diventare opera d’arte, ma la spinta metafisica che anima l’intero mondo delle macchine può ben acquisire il suo significato più alto nell’opera d’arte e portare quindi la quiete nel mondo. Questa differenza è importante. La quiete abita nella forma, anche nella forma del lavoratore. Se si osserva fino a che punto essa ha percorso la pittura di questo secolo, si possono immaginare i sacrifici compiuti in questo campo. Forse si può anche prevedere che essa porti al trionfo, per ottenere il quale non è sufficiente mettersi al servizio del bello. È ancora controverso, infatti, che cosa sarà giudicato bello.
Non si troverà quasi nessuno che nel suo giardino non si lasci a tal punto dominare dall’economia da non lasciarvi crescere qualche fiore. Non appena le aiuole acquistano vita, il puro necessario viene arricchito. La stessa cosa proverà l’uomo che, compromesso nel nostro ordinamento, nei nostri Stati, si dedicherà anche solo per poco all’opera d’arte. Può accadere che egli le si possa accostare, come il cristiano alla croce, solo nel segreto delle catacombe. Nei domini del Leviatano non solo regna il cattivo gusto, ma bisogna di necessità annoverare l’artista tra gli avversari più pericolosi. La persecuzione bandisce l’artista. I tiranni in compenso esaltano gli schiavisti dello spirito. Essi infamano la poesia.
Le cose non stanno diversamente, in quest’epoca, per il pensatore. Egli vive lo stesso azzardo stando ai confini del niente. Ma in tal modo riconosce il timore che dagli altri è vissuto con panico come ciechi colpi del destino. È probabile che gli si avvicinò così anche ciò che è salvifico, che nella visione di Hölderlin si accomuna al pericolo. Vogliamo alludere con ciò alla singolare simmetria che pone oggi il poeta e il pensatore in un rapporto di corrispondenza speculare. La creazione poetica ha acquisito una consapevolezza che supera quella di ogni precedente tentativo. La luce penetra fino alle fibre del sogno e dei miti più antichi. […]
Ma qual’è il punto di incontro del determinato e dell’indeterminato – dell’azzardo e della precisione? Lo si trova in alcuni campi, per esempio nel campo dell’esperimento. In effetti anche lo sperimentale appartiene ai caratteri di questo pensiero. Esso è infatti lo stile che caratterizza non solo la pittura, non solo la scienza, ma l’esistenza stessa del singolo individuo. Cerchiamo mutazioni, possibilità che permettano di vivere la vita in un nuovo eone rendendola sopportabile e forse perfino felice. L’esperimento scientifico con le sue domande si rivolge alla materia: conosciamo tutte le inaudite risposte che essa ha fornito e che minacciano l’equilibrio del mondo. Tale equilibrio potrà essere ristabilito solo se il pensiero, interrogando l’universo spirituale, vi cercherà risposte che siamo superiori a quelle della materia. La peculiarità della nostra situazione implica che questi atti di pensiero debbano precedere temporalmente le tesi della teologia, pur preparandole – e non solo essi, forse, ma il corso stesso della scienza, come una rete nella quale si catturano prede diverse da quelle che si aspettava.
È chiaro che il pensiero, quale lo abbiamo ereditato, è impari a questo compito. Non si può dire tuttavia che anche nell’ambito del pensiero, come in generale altrove, si compia una operazione rivolta contro il secolo precedente, il cui stile conoscitivo, vieni piuttosto ampliato ed approfondito. Con ciò, ovviamente, esso viene anche trasformato, anzi reso forse incompatibilmente più potente- del resto anche la conquista di nuove energie materiali si basa sul lavoro scientifico dei nostri padri. Più che con operazioni e metodi abbiamo a che fare con la risposta di nuove forze, il che fa pensare che fin dall’inizio fossero insite nei metodi finalità diverse da quelle volute.
Ora siamo nell’incommensurato. Qui la sicurezza è minore, ma è maggiore la speranza di ottenere risultati. “Sentieri interrotti” è una bella espressione socratica per designare questa situazione. Essa allude al fatto che ci troviamo fuori da strade sicure e dentro la ricchezza, nell’indifferenziato. Ciò comporta anche la possibilità di fallire”…
A.T. del mondo di Eumeswil