L’arte della barca a vela. Navigare a vele spiegate
Con Antonio Falcomer
Riflessione di Eumeswil
dacché ero stanco del cercare,
appresi il trovare. Dacché mi fu avverso un vento
navigo con tutti i venti.
A questi versi Nietzsche diede come titolo la mia felicità ( Mein Gluck) e ci paiono i versi migliori per chi desidera navigare. L’arte della navigazione è impossibile immaginarla priva di venti spesso pure ostili, pericolosi, fin troppo forti. La navigazione è dominata dalla mutevolezza del contingente.Il sole forte può sparire improvvisamente mangiato da nuvole tempestose. Il vento si può trasformare da mite a imperioso così come il mare da quieto, placido diventare sussultante, ondeggiato.
Navigare a vele spiegate è il sogno di tutti così e col vento in poppa!
La barca e soprattutto la barca a vela può essere metafora di vita e di vita in comunità. Nota è l’espressione siamo tutti su una stessa barca! Un veliero lo immaginiamo in mezzo al mare dove i colori del cielo si fondono con quelli dell’acqua. Nei lunghi silenzi di immagini, di suoni possiamo ricordare il porto lasciato alle spalle, prepararci ai luoghi da esplorare oppure lasciarci andare all’apparente monotonia del paesaggio per tranquillizzare la mente, far posare il pensiero affinché si vedano nascerne di nuovi. Più uno è capace di attenzione, meditazione più è in grado di intentare nuovi concerti, sinfonie all’interno di se stesso, laggiù nell’infinito, privo di limiti, di sponde, di appigli, dove tutto può ancora nuovamente essere, essere creato. Il sole è caduco. Sorge e tramonta. Lo si osserva come incanto e continuo miracolo, come conduce il suo arco, mai uguale e si sposta nei mesi lungo un simile, ma mai identico tragitto. Non lo ritroviamo mai allo stesso posto, così fanno la luna e le stelle. Possiamo navigare in acque sicure come in acque tempestose rischiarate dalla luce così come nel buio delle tenebre. Navigare può essere un gioco specialmente se i delfini si uniscono a noi ed imitano il moto delle onde, e può essere un atto di coraggio quando si ravvisano i pericoli in cui possiamo andare incontro. Ecco allora che la sicurezza, conoscere i giusti comportamenti da assumere, l’imbarcazione ed avere un comandante esperto diviene fondamentale.
L’incontro di oggi sarà con Antonio Falcomer e ci porterà a scoprire i vari risvolti della navigazione per mare, come e dove si apprende la vela, la tradizione legata alle imbarcazioni i molteplici tipi di itinerari che si possono compiere da quello di fede a quello sportivo: le regate. Sicuramente la vela è una disciplina sportiva che insegna a stare insieme, ma anche l’importanza di assolvere il proprio compito nel modo migliore e non essere di peso agli altri. Non sovraccaricare il prossimo per la propria pigrizia, negligenza, apatia, disinteresse.
La barca a vela, spazio così ristretto, circoscritto, ci costringe a non essere pesanti interiormente per non avvilire il prossimo. È un luogo dove facilmente si andranno a creare situazioni che diverranno aneddoti da raccontare a conoscenti ed amici. È un luogo di esperienza viva. Ogni compito è necessario assolverlo e bene per la vita e sopravvivenza altrui. Il comandante è una specie di direttore d’orchestra o il chirurgo di una sala operatoria. Coordina e conosce ogni aspetto della barca e delle rotte, di cosa sia necessario farsi sopra e sotto coperta. In cambusa.
Antonio Falcomer già ufficiale della Marina Militare è stato al comando, tra l’altro delle ben note: Palinuro, Orsa Maggiore e della Vespucci, in seconda.
Di recente ha preso parte ad una regata che lo ha visto impegnato in una competizione da Palermo a Montecarlo.
Ha iniziato la sua passione ed il suo mestiere guardando il mare, sognando e aprendosi all’infinito che abbraccia il tutto e il suo sogno di attività lavorativa è poi divenuto una realtà ed il mare è in Lui sia come luogo geografico sia come dimensione interiore.
Il video che vi presentiamo con Antonio Falcomer cerca di abbracciare le varie realtà e metafore che si possono rinvenire parlando della dimensione di distese di acqua che sono assai diverse dai deserti, le distese di sabbia… Seppur, se in ambo i luoghi , ci ritroviamo privi di visuali ed in balia talvolta di miraggi…
Metafora del mare è il camminare sulle acque! Per camminare sulle acque occorre essere in totale stato di grazia. Essere al di sopra dei problemi della terra. Così come per stare in barca tranquilli significa avere quella padronanza di se stessi, quella centratura, quella confidenza e certezza interiore della presenza superiore che ogni avversità non è più un male, qualsiasi sarà l’ esito finale a cui andremo incontro. Ad essere investito di pace è l’essere. La parte viva, reale. Il disordine esterno non agita la parte più profonda, più autentica.
La vita stessa è un problema per chi non ha strumenti, armi e visioni di possibili mondi diversi e superiori. Più ampio è l’orizzonte mentale e più strategie, soluzioni si possono rinvenire per la propria serenità d’animo e per la sua vita splendente. Non è l’affezione al mondo della mutevolezza che porta il navigatore in porto, ma la fiducia, la fede di trovare il porto a cui attraccare.
Falcomer metterà in rilievo le differenze di onde e di venti che si trovano sull’Adriatico ed il Tirreno. Ci pennellerà i paesaggi di terra visti dallo scafo. Cambiare dimensione aiuta a vedere le cose sotto una luce e prospettiva differente. La realtà non è una se non l’Alta, ma quella in terra sono una complessità di istantanee personali che formano una immagine, un modello mai stabile, ma sempre in movimento.
Se la nostra realtà terrena non fosse sotto il flusso del cambiamento continuo vorrebbe dire che il mondo sarebbe finito. Si sarebbe in acque chiuse che alla fine potrebbero divenire stagnanti e putride.
La filosofia antica ne era ben consapevole così come gli antichi vichinghi. La runa lagu infatti, come ben ci insegna Gianni Vannoni:
“reca il segno di un’onda, e rappresenta l’acqua che scorre. Dal punto di vista della cultura, denota la coscienza dell’interrotto fluire di tutte le cose umane, e l’accettazione del carattere transitorio della vita. È la consapevolezza dell’impermanenza di tutto ciò che accade; essa proietta un’ombra sulla nostra gioia, ma porta anche sollievo al nostro dolore. Si deve ad Eraclito l’averne colto per primo il senso, nella storia della civiltà occidentale, con il celebre aforisma:”nello stesso fiume non è possibile entrare due volte”. Il suo discepolo Cratilo aggiunse che non ci si può immergere neanche una volta nello stesso fiume, poiché l’acqua che scorre muta continuamente, e quindi il fiume non è mai lo stesso.
Più che il fiume la runa sembra indicare, con il suo nome, il lago; e, con la sua forma, più che il lago il mare perché appare come il cavallo, cioè l’onda marina o oceanica, che ancor oggi si chiama cavallone. L’antico poema anglosassone conferma questa interpretazione; mentre il poema runico norvegese vi associa la cascata montana. In tutti i casi si tratta di acqua che scorre, e quindi del perenne fluire della vita umana, che non può essere fermata nel tempo felice, se non attraverso il ricordo. Perciò lagu è anche la runa della nostalgia che vela l’occhio umano della segreta lacrima. Ma Cratillo porge il fazzoletto per asciugarla”.
La trasformazione diviene “salvifica” quando si inizia a notare la volontà pedagogica che pervade l’intero universo…
Occorre molto coraggio e privarsi, far crollare le illusioni, per affrontare la vita umana, di quel coraggio che vediamo ben poco e quando lo notiamo ci sorprende. E così, dato che su una barca a vela, a largo nelle maree, occorre una buona dose di coraggio, ma soprattutto coraggio umano. Per il coraggio infuso dall’Alto occorre leggere San Paolo e coronare una missione che porta verso le altezze delle vette …
Ora ci somministriamo qualche stralcio di scritti ripresi dai nostri Annali sul tema il Coraggio del 2014. Riprendiamo per iniziare dallo scritto che apre il numero di Gianfranco De Turris su: “IL CORAGGIO MINIMALISTA” Un camionista mette di traverso il suo mezzo in autostrada per impedire che le sue auto travolgano i feriti di un incidente. Una badante si lancia in mare per salvare un bambino ma non sapendo nuotare affoga. Un poliziotto si offre ostaggio a una banda di rapinatori intrappolati in una banca per far liberare i clienti. Due operai si calano in una cisterna per salvare un collega svenuto ma muoiono anche loro.
Ogni tanto si legge sui giornali o si viene a sapere dalla televisione che qualcuno ha compiuto un “atto di coraggio”: una persona qualsiasi, civile o militare che sia, ha compiuto un’azione inaspettata è sorprendente. Spesso i protagonisti affermano; ” Non sono un eroe, ho compiuto soltanto il mio dovere”.
Nel mondo di oggi, che del coraggio o dell’erotismo ha fatto qualcosa di cui ci si deve quasi vergognare a causa di una retorica pacifista generalizzata, sembra così che “fare il proprio dovere” sia un che di eccezionale, non previsto da alcuno statuto e quasi neppure dalla “communis opinio”.
Passati i tempi in cui le copertine della “Domenica del corriere” disegnate da Beltrame e Molino esaltavano i giovani Balilla (e poi i Boy Scouts) intervenuti in situazioni di pericolo. Ieri (ma parliamo di tre quattro generazioni fa) si voleva che gli italiani fossero tutti generalmente “eroici”. Oggi, dopo un lunghissimo lavaggio del cervello, li si vorrebbe tutti anti-eroici, anche I mass media popolari ci offrono Eroi a bizzeffe, specie Made in USA. Sicche’ quasi quasi “fare il proprio dovere” è un atto eroico, resistere alle vessazioni dello Stato e della burocrazia appare agli occhi dei più un “atto eroico”. E la gente comune, la gente qualsiasi, quando si comporta “eroicamente”rispondendo in maniera inaspettata a fatti o eventi imprevisti ed eccezionali, quando non si può far altro che ricorrere alle proprie risorse, personali e collettive, fisiche e morali, dato che non si può contare sugli altri, diventa un caso eccezionale.”…
Ma chi sono stati gli intrepidi avventurieri dei mari se non i pirati del mare del nord: “I vichinghi “! Allora riportiamo di Dario Coppola qualche passaggio del Suo saggio comparso sempre sui nostri Annali su: “LA SFIDA DEL NORD ATLANTICO“nell’artico si mettono in evidenza le caratteristiche delle imbarcazioni costruite, i luoghi scoperti e conquistati e come queste conoscenze le apprendiamo attraverso le antiche saghe! Sono racconti ricolmi di gran fascino che ci riportano ai tempi antichi. Ad una cultura dove la forza era necessaria per poter stare al mondo e la forza si univa alla conoscenza e alla necessità di apprendere dall’ambiente circostante, dai propri simili, ma pure dalla natura. Dove l’occhio doveva essere vigile sulla realtà circostante in continuazione. Vi era la necessità di tramandare le cose apprese per il bene di tutti. Oggi invece che tutto muta rapidamente perché lo sviluppo della tecnica va velocissimo nessuno ha il tempo di apprendere, assimilare, vagliare cosa è buono da cosa è pericoloso e passarlo agli altri. Non siamo più in grado di vedere la validità e la bontà di ciò che l’uomo è l’uomo tecnologico compie. Non abbiamo tempi prova! Tutto ciò che viene scoperto è messo immediatamente in produzione e rarissimamente viene ritirato dal mercato. Sta al singolo nutrirsi di Santa Pazienza informarsi,verificare rischi e benefici, prima di acquistare o assumere qualsiasi nuova “scoperta” e ve ne sono di nuove in tutti i campi tutti i giorni. È per questo che affidarsi ad una “viva tradizione” non riempita di borghesia può rassicurare molti animi preoccupati, scettici e perplessi almeno questa tradizione è stata soppesata, messa alla prova, nel corso di lunghi secoli. Ritorniamo al nostro saggio sui Vichinghi. Lo scritto andrebbe letto per esteso… “La saga dei Groenlandesi- così prosegue in merito alla vicenda di Herjolf e Bjarni- :
“Solo chi ha coraggio ha la forza d’animo necessaria a non affrontare sconsideratamente rischi e sopportare con serietà dolori e sacrifici. Bjarni sapeva cosa avrebbe dovuto fare per garantire a se’ e ai suoi uomini un salvo passaggio fino alla nuova colonia ed aveva una pluriennale esperienza cui affidarsi. Nelle saghe non è menzionato direttamente nessun aiuto strumentale ma basandoci su varie fonti di informazioni pervenuteci, dirette ed indirette, e sui ritrovamenti archeologici, è possibile affermare che la navigazione secondo la latitudine (la distanza in gradi nord o sud di un punto rispetto all’equatore) e la navigazione basata sulla posizione stimata siano stati i metodi principali utilizzati dai vichinghi per affrontare le traversate oceaniche (…) . Questo tipo di navigazione è descritto non solo nella Saga dei Groenlandesi ma anche nella Landnamabok, il libro sulla colonizzazione dell’Islanda(…).
L’assistenza alla navigazione si basa su una serie di conoscenze e strumenti sviluppati a partire dall’esperienza:
– la presenza di un’isola o di montagne oltre l’orizzonte può essere scoperta dalla forma delle nubi in cielo ( piccole nuvole fisse); -un improvviso acquietarsi del mare nel mezzo di una tempesta può indicare che si è giunti sottocosta a un’isola, anche non vicinissima, nascosta dalla pioggia, in grado di dare protezione su quello specchio di mare; – le stelle, se visibili, possono indicare infallibilmente la rotta;
– la conoscenza delle correnti di costa e oceaniche, della profondità del mare e del variare del suo colore in concomitanza con variazioni della profondità, delle correnti, o della presenza di banchi di sabbia sotto la superficie, insieme alla conoscenza dei cambiamenti stagionali del vento e del moto ondoso possono far dedurre la propria posizione o direzione di navigazione;
– cambi repentini nel colore su tonalità marroni o grigiastre indicano lo sbocco in mare di un fiume le cui acque cariche di residui terrosi possono essere trasportate compatte dalla corrente anche molto lontano dalla costa;
– i punti di riferimento per ogni tappa del viaggio sia in terra ( monti, ghiacciai, isole, scogli), sia in mare ( luoghi di riproduzione di cetacei, presenza costante di grandi banchi di pesce in determinate aree dell’oceano);
– le rotte migratorie di volati e cetacei.
Oltre alla vista per mantenere la nave in rotta, o farla giungere a destinazione, erano chiamati in causa anche l’udito e l’ olfatto:
– il suono della risacca, di forti onde che si infrangono contro una costa rocciosa, può infatti essere udito a gran distanza in mare aperto così come l’odore di qualche incendio o fuoco lontano.
Il mezzo più importante fra tutto era comunque l’esperienza accumulata in anni di viaggi con i marinai della generazione precedente. L’esperienza era largamente remunerata nel caso in cui ci si volesse dirigere verso luoghi sconosciuti a tutto l’equipaggio pagando le informazioni ai timonieri che già avevano viaggiato verso la meta desiderata, o assolvendone uno per il viaggio…
Avanziamo rapidamente, compiendo un balzo alla fine dello scritto in questione:
“Eirik trascorse tutto il tempo rimanente del bando a esplorare entrambe le coste della “Terra Verde”, da lui così battezzata affinché il nome stesso attirasse nuovi coloni(…). Al ritorno in Groenlandia, nel 985 o 986, Eirik approdo’ insieme a 14 delle 25 navi che erano salpate.(…). Quando i primi coloni raggiunsero la nuova terra il clima era più caldo rispetto all’attuale. Le saghe non menzionano il ghiaccio tra i pericoli della rotta se non dalla data indicata per il cambio di rotta.
A partire dal XIV secolo i naviganti furono costretti ad abbandonare definitivamente la rotta di Erik a favore della seconda, a causa della gran quantità di iceberg spinti verso sud e dalla presenza di pezzi di banchisa polare alla deriva. All’epoca la via di collegamento con la Groenlandia era oramai ben stabilita e conosciuta, quindi non difficile affidarsi alla nuova rotta.
Col progressivo raffreddamento del clima divenne però sempre più difficile approdare presso gli insediamenti groenlandesi a causa del lungo perdurare dei banchi di ghiaccio dopo l’inverno in prossimità dei litorali e delle insenature, e si ridusse così drasticamente il numero di contatti con la colonia, di cui si ha documentazione. L’ultimo contatto attestato risate al 1410 e avvenne unicamente con la colonia orientale, che era la sola rimasta. Ci sono prove indirette di contatti ancora per un decennio, poi il silenzio. Nel 1540 una nave europea raggiunse nuovamente la colonia e trovo’ solo fattorie deserte e in una di esse un corpo sepolto. ( Per maggiori informazioni sulla sfida oceanica cfr. L.k. Karlsen, Secrets of the Viking Navigation, Seattle 2003; D. Griffths, Vichings of the Irish sea, Brimscombe Port Stroud, 2010; G.J. Marcus, La conquista del Nord Atlantico, Genova 1999; S. Medas,De Rebus Nauticis, Roma 2004; S. Thirslund, Viking Navigation, Roskilde 2007.
A.T. del mondo di Eumeswil