Tertium datur. Filosofie dell’originario
Con Giovanni Sessa
Riflessione dal mondo di Eumeswil
Il grigio dell’asfalto, dopo una lieve pioggerellina, si è reso selciato vivo attraverso un puzzle, un mosaico di foglie riversate a terra marroni e gialle ben aderenti al suolo. La strada si è trasformata in un cammino e camminamento artistico. Le foglie bagnate aderiscono al grigio e lo trasformano. Par essere diventato l’asfalto una tela ed essere rivestita di vita. Gli alberi bagnati, i loro tronchi lucidi sono respiro vivo così come dopo che il sole è tramontato la bruma rende velate, soffuse le luci e guardando il cielo si possono scorgere gradi di esso. Non è un solo cielo, ma gironi e gradini. Sui pianeti dimorano dei, angeli ed arcangeli e sulla stella fissa Dio…Il raggio di creazione…
Perché poeti e filosofi in tempo di crisi? Nessuno più legge o quasi e poco diffusa è la lettura di poesia e filosofia eppure in tempo di crisi il mondo va ripensato, la parola assume un aspetto inedito. In tempo di crisi chi può sollevarci dal grigio asfalto e portarci nei cieli?
L’etimologia della parola “crisi” deriva dal greco “krisis”, che significa “scelta” o “decisione”, e dal verbo greco “krino” (“separare”, “distinguere”, “giudicare”). In origine, indicava una fase decisiva o un momento di svolta, non necessariamente negativo, sia in senso medico che generale.
Chi può proporci nuovi modelli di vita e stili esistenziali quando quelli presenti paiono oramai esautorati? Perché abbiamo perso principi e fondamenti?
Certo tali pensieri arricchiscono la mente di chi, estraniandosi dal contesto del vivere passivamente, coglie l’opportunità di riflettere. Si può pensare allo stato del mondo e in seguito ricercare un modo di agire opportuno in relazione a tre piani esistenziali: il nostro centro nevralgico, il mondo esterno e la realtà superiore. Cercando di sottrarsi al caos per ripristinare un ordine singolo ed individuale. In che grado e proporzione sia possibile ciò al singolo è cosa difficile da da dirsi e soprattutto compiersi sino a quando il processo di individuazione non si compie. Il soggetto deve uscire dalla gabbia in cui lo imprigiona la personalità acquisita e riscoprire se stesso, tentando instancabilmente di divenire padrone di se stesso e non succube dei suoi molteplici io e dettami esteriori, ricercando via via di essere consapevole e cosciente scoprendo sempre più la propria pochezza. La ricchezza e la fioritura dell’anima derivano da una luce superiore, da tanto esercizio …. Ma come operare a tal riguardo?
Nel video che vi mostriamo oggi a parlare sarà Giovanni Sessa che ci esporrà il suo ultimo libro: “TERTIUM DATUR. Filosofie dell’originario”. Dal retro di copertina del suo libro apprendiamo:
“In questo libro, al centro della discussione, è il logos phisikos. Una forma di pensiero che si manifestò nella filosofia museale dei pensatori aurorali della Grecia, centrato sulla hyle, materia animata. Dopo l’affermazione della filosofia classica e del pensiero medievale, il logos physikos è riemerso in un filone sotterraneo e carsico, a muovere dalla Rinascenza. Sessa accompagna il lettore nelle vive cose di tali esperienze speculative ed esistenziali, prendendo le mosse dall’ esegesi dell’opera di Augusto del Noce, Il problema dell’ateismo. Per l’autore, oltre le due vie teoretiche individuate dal pensatore cattolico a partire dal Seicento, ve ne è una terza, tertium datur, presente e vivace nell’Italian Thought, maturata oltre le destinazioni logo-centriche. Essa si è incarnata nelle filosofie di Cusamo, Bruno, nella teoria di Böhme e von Baader, prima di ri-affacciarsi nell’ idealismo tedesco. Nel Novecento italiano dei cosiddetti minori, in particolare nelle filosofie ultrattualistiche di Evola, Emo, Diano, la “terza via” ha trovato il proprio luogo d’elezione. Colli e Donà ne sono interpreti di grande rilievo: nel loro pensiero la singolarità è tornata a dire in uno essenza ed esistenza”.
Dato che nel corso del video si sentirà parlare di materia, vibrazioni, musica, noi del mondo di Eumeswil ci avviamo per altra vie, strade…
Ci sono venute in mente le ottave musicali che possono essere ascendenti e discendenti ovvero abbiamo l’opportunità di cogliere ed imparare a riconoscere la realtà come fosse una scala verso cicli viventi esistenziali ascendenti o discendenti ovvero verso cicli, spirali di luce o di ombre dove la nostra realtà ontologica può scoprirsi, realizzarsi, maturare o dissiparsi nel nulla. Possiamo cogliere o perdere la nostra propensione al vibrare e alla vita.
La realtà attuale ed il mondo della tecnica ci mostrano in continuazione la presenza di invisibile. Un cellulare e la trasposizione di un messaggio da un dispositivo ad altro, un telecomando di un auto, di una Tv, raggi X e non solo… eppure la mente tende a trascurare la presenza dell’Invisibile e la brillantezza di alcuni individui perché portatori di tale Luce.
Attraverso l’ottava musicale si può facilmente slittare a pensare ai Padri della Chiesa. Ci ricordano l’ottavo giorno. Al porto di Patmos, l’isola dove Giovanni scrisse per rivelazione l’Apocalisse, vi è nella chiesetta un quadro molto interessante: una montagna e nostro Signore al di sopra lucente. Una scritta in greco dice: la salvezza è nella trasformazione. Riflettere sull’immagine ed il significato della montagna, il Cristo in cima ed i termini salvezza e trasformazione ci paiono indicativi di un modo per il singolo per sfuggire a qualsiasi pensare della fine e del muro del tempo. Accompagneremo tale nostra idea di dover imparare a migliorarci, a trasformarci, ad agire anche con un pensiero di Heidegger tratto dal testo: “Oramai solo un Dio ci può salvare” e da alcune frasi di Ouspensky che per un certo periodo fu allievo di Gurdjieff e poi abbandonò il Maestro per seguire l’insegnamento in modo autonomo.
Martin Heidegger
ORMAI SOLO UN DIO CI PUÒ SALVARE
Intervista con lo Spiegel
Si legge nella spiegazione del testo:
“La sola interferenza tra la biografia di Heidegger e gli eventi storici del nostro secolo, fu il rettorato all’Università di Friburgo, che il filosofo accettò nel 1933 dietro pressante invito dei colleghi, in un momento drammatico per l’ Università e per il Paese.
Oramai solo un dio ci può salvare è il titolo che la redazione di “Der Spiegel”, diede ad un colloquio che si svolse trentatré anni dopo, il 23 settembre 1976, tra Heidegger e due inviati del settimanale.
Secondo la volontà di Heidegger, questo testo – in cui risponde alle accuse che gli sono state rivolte – non doveva essere pubblicato se non dopo la sua morte. Grazie ad esso, come scrive Marini nella sua introduzione, “chi si accontenta di poter dire che Heidegger è stato ‘nazista’, può (gli e’ permesso ) farlo; chi però vuol saper di più, può (ha la possibilità di) andar oltre senza che, per l’intenzione o la semplice presunzione di volerlo o poterlo fare, debba sentirsi trasformato a sua volta in un difensore del nazismo’”.
Oramai solo un dio ci può salvare è un contributo al chiarimento del “caso Heidegger”, ma anche lo straordinario documento di un pensiero che -venerato o detestato che esso sia- domina la filosofia europea del Novecento.
Nell’ autocoscienza storica del popolo tedesco, in Meister Eckhart come in Lutero o in Fichte – scrive Marini – l’appello a Dio “non è un modo per ‘fare di necessità virtù’, per sottrarsi alla stretta momentaneamente invincibile dell’ora accettando la disperazione senza ammettere l’annientamento totale (…); è al contrario sfiducia spirituale nell’ obiettività dello spirito, assunzione di responsabilità assoluta, soprassalto dell’ego. È l’intenzione immediata di trovare nella sconfitta la vittoria, nella massima perdizione il seme della salvezza, nel nulla dell’ umiliazione il tutto della riscossa. È insomma, nel fondo, una identificazione di sé nello hic et nunc della sconfitta “.
Intriso di questo spirito, dedito a questa e a tutta la tradizione dello spirito europeo, Heidegger intravede la possibilità di un “altro pensiero“, meno euforico e meno drammatico che, senza togliere (senza poter togliere) il dramma che è nelle cose stesse, può preparare l’attesa di una trasformazione lenta ma radicale del “senso dell’ essere in generale“ e del nostro rapporto all’essere”.
Domanda:
SPIEGEL
C’è qualcos’altro che forse rientra in questo tema; abbiamo in questo momento, e senza esagerare, una crisi del sistema democratico parlamentare. È una crisi di lunga durata. Essa è presente particolarmente in Germania, ma non soltanto in Germania. Esiste anche nei paesi classici della democrazia, in Inghilterra e in America. In Francia non è già più una crisi. La domanda è: da parte dei pensatori non possono dunque provenire, sia pure come sottoprodotto, indicazioni circa la sostituzione di questo sistema con uno nuovo e come esso debba essere, o circa la possibilità e il modo di una sua riforma. In caso contrario è fuori discussione che l’uomo filosoficamente non educato – e cioè, per lo più, proprio quello nelle cui mani stanno le cose ( anche se non è lui a determinarle) e che a sua volta ne è schivo -, che questo uomo arrivi a conclusioni sbagliate, anzi, a terribili corto circuiti. Insomma: non dovrebbe il filosofo essere pronto a farsi un’idea di come gli uomini possono organizzare la loro coesistenza in questo mondo da loro stessi tecnicizzato e che, forse, gli ha preso la mano? Non è giusto aspettarsi dal filosofo che dia delle indicazioni su come si rappresenta una possibilità di vita e viceversa non viene meno il filosofo ad una parte (e sia pure una piccola parte) della sua professione e della sua vocazione, se non sa comunicare nulla in proposito?
Risposta:
HEIDEGGER
Per quanto ne so, un singolo non è in grado, a partire dal pensiero, di ottenere una panoramica del mondo nella sua totalità che gli permette di dare indicazioni pratiche e, ciò, perfino in ordine al compito di trovare innanzitutto una base per il pensiero stesso. Il pensiero, nella misura in cui si prende sul serio rispetto alla grande tradìzione, si sente qui impari al compito appena si accinge a dare indicazioni concrete. In base a quale competenza ciò potrebbe accadere? Nell’ambito del pensiero non ci sono enunciati autoritativi. L’unica normatività del pensiero proviene dalla cosa stessa da pensare. Ma questa è la cosa più problematica di tutte. Per far capire questo stato di cose ci vorrebbe prima di tutto una discussione del rapporto tra la filosofia e le scienze, i cui successi tecnico-pratici fanno oggi apparire sempre più superfluo un pensiero nel senso filosofico della parola. Alla difficile situazione nella quale si trova collocato il pensiero stesso, rispetto al suo compito proprio corrisponde quindi una estraneazione, alimentata proprio dalla posizione di potenza delle scienze, nei confronti del pensiero. Il quale non può permettersi di dare quella risposta a problemi pratico-ideologici che il momento richiederebbe”.
Ouspensky su altro tema ci prova a spiegare:
“La materia, o sostanza, presuppone necessariamente l’esistenza della forza o energia. Questo non significa affatto che occorra adottare una concezione dualistica dell’universo. I concetti di materia e di forza sono relativi così come ogni altra cosa. Nell’Assoluto, dove tutto è uno anche la materia è la forza sono uno. Ma in questo caso la materia è la forza non sono prese come principi reali del mondo in se’, ma come proprietà e caratteristiche del mondo fenomenico da noi osservato. Per intraprendere lo studio dell’Universo, basta avere una idea elementare della materia e dell’energia, quale ce la forniscono le osservazioni immediate fatte attraverso i nostri organi sensoriali. Ciò che è ‘permanente’ è considerato come materiale, come materia, e i ‘cambiamenti’ che intervengono nello stato di ciò che è permanente o della materia, chiamati manifestazioni di forza o di energia. Tutti questi cambiamenti possono essere visti come la risultante delle vibrazioni o dei movimenti ondulatori che partono dal centro, ossia dall’Assoluto, e vanno in tutte le direzioni, si incrociano, entrano in collisione e si fondono gli uni con gli altri, finché si arrestano tutti alla fine del raggio di creazione.
Da un punto di vista , dunque, il mondo consiste di movimenti ondulatori o vibrazioni e di materia, o materia allo stato di vibrazione, o materia vibratoria. La velocità delle vibrazioi è in ragione inversa alla densità della materia.
“È nell’Assoluto che le vibrazioni sono le più rapide e la materia la meno densa. Nel mondo immediatamente consecutivo, le vibrazioni sono più le lente e la materia più densa; più oltre la materia è ancora più densa e le vibrazioni di una lentezza corrispondente”…
Jeanne de Salzmann che continuò il lavoro del suo maestro Gurdjieff dopo la sua dipartita ci spiega:
“Dobbiamo comprendere l’idea di una scala cosmica, e il fatto che esiste un legame che collega l’umanità con un’influenza superiore. La nostra vita, lo scopo del nostro essere vivi, può essere compresa solo in relazione a forze la cui scala e grandezza ci oltrepassano. Sono qui per obbedire, obbedire a un’autorità che riconosco maggiore di me perché ne faccio parte. Chiede di essere riconosciuta, di essere servita e di risplendere attraverso di me. Sento il bisogno di pormi sotto la sua influenza e di relazionarmi a essa mettendomi al suo servizio. All’ inizio non capisco che il mio desiderio di essere è un desiderio cosmico e che il mio essere ha bisogno di situarsi e trovare il suo posto in un mondo di forze. Considero il desiderio una mia proprietà soggettiva, qualcosa che posso utilizzare per profitto personale. La mia ricerca è organizzata sulla scala di questa soggettività in cui tutto viene misurato da un punto di vista individuale: io e Dio. Tuttavia a un certo punto devo capire che l’origine del bisogno che sento non è solo in me. C’è un bisogno cosmico del nuovo essere che potrei divenire. L’umanità (una certa porzione di umanità) ne ha bisogno. E anche io ho bisogno, col suo aiuto, di afferrare l’influenza che sta proprio sopra di me.
Sentiamo che senza questa relazione con un’energia superiore la vita non ha molto significato. Ma da soli non abbiamo la forza di raggiungerla. Si deve creare una certa corrente, un certo magnetismo in cui ognuno trova il suo posto, cioè il posto che permetterà alla corrente di stabilirsi meglio. Tutta la nostra responsabilità è questa. Le vie tradizionali hanno tutte riconosciuto e servito questo scopo in un modo che corrispondeva allo sviluppo delle persone in un dato luogo e periodo. Oggi abbiamo il bisogno di ritrovare il contatto con questa energia“…
E concludiamo questo viaggio attraverso i cieli come atterrando da un volo che ci ha offerto la possibilità di varcare strati di cielo ed in ciascuno di essi era possibile far nascere nuove osservazioni….
Ernst Jünger ci segnala:
“Da un punto di vista astrologico, l’interim si situa al principio di un dispiegamento; la nuova casa è ancora avvolta dalla luce del crepuscolo. Per la prima volta nella storia un’immagine dinamica sostituisce i segni zodiacali. Occorre presupporre una nuova venerazione del sole. Esso comincia a destarsi; questo valga agli elementi in quanti tali.
Una crescente spiritualizzazione è evidente; essa si ripercuote in primo luogo nella distruzione, nel livellamento, nell’imbiancatura. L’ondata si fa sempre più potente e il compito fondamentale non sembra tanto quello di produrre energia, quanto quello di arginarla. Si possono menzionare grandi dati, che sembrano attestare la realizzazione di sogni favolosi, come il successo ottenuto nel nostro secolo nei voli non solo attraverso l’atmosfera, ma fino alle stelle. Nell’”impianto” (Gestell) compaiono apparecchi e orologi che sembrano raggiungere la perfezione del perpetuum mobile, e con essi fa la sua comparsa l’omuncolo, realizzato sia tecnicamente che organicamente. Ancora molto ci si può aspettare dall’incremento della conoscenza acquisita grazie all’ubiquità, il che vuol dire grazie alla possibilità di effettuare qualsiasi tipo di spostamento nel tempo e nello spazio, e non solo attraverso un teleschermo, ma con la persona.
Stupisce il ritmo serrato con cui si dà esecuzione al lavoro, nonostante il pericolo crescente. L’esperimento conserva comunque un’estrema importanza, mettendo in secondo piano il benessere e la sicurezza. Per questa ragione appunto, ci si chiede che cosa mai esso abbia di mira. Certo, come tutto ciò che è perituro e trascorre con il tempo, si tratta “solo di un simbolo”, e tuttavia può condurre più vicino al muro del tempo di quanto nel corso della storia ci si sia mai potuti spingere.
Il fatto che i sogni possano restare irrealizzati, non dimostra nulla contro di essi. È necessario che sia così: anch’essi non sono che simboli.
Torniamo allo specchio. Esso è anche un simbolo di Afrodite, per questa ragione fu proibito dai padri della Chiesa. Secondo Clemente Alessandrino, le etere sedevamo di fronte ad esso per mascherarsi, “mentre il logos ci impone di non prenderci cura delle cose visibili, ma di quelle invisibili”. Ma questo fa un pò l’effetto del cannone con cui si spara ai passeri.
Per Paolo, torniamo a ripeterlo, lo specchio cela un enigma cui “in seguito però“ si trova una soluzione. Esso è anche la parete del muro del tempo. Come attraverso quel muro filtra l’acqua della vita e disegna modelli, così attraverso lo specchio riluce l’eterno e si lascia riconoscere attraverso i simboli. Chi vuole sapere di più, deve sfidare la morte”.
Giovanni Sessa: (Milano, 1957) vive a Frascati. I suoi scritti sono comparsi su riviste, quotidiani, in volumi collettanei e Atti di Convegni di studio. Ha curato e prefatto decine di volumi. È segretario della Fondazione Evola.
